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“Non chiamatele salsicce o burger se non sono di carne” Europarlamento dice stop

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Anelli di Zucchine

Il Parlamento europeo ha approvato con una maggioranza schiacciante l’emendamento che vieta l’utilizzo di denominazioni tradizionalmente associate alla carne per descrivere i prodotti a base vegetale. Con 532 voti favorevoli, 78 contrari e 25 astenuti, l’Aula di Strasburgo ha dato il via libera alle modifiche al regolamento sull’organizzazione comune dei mercati agricoli che includono il controverso divieto dell’uso di termini come “veggie burger”, “salsiccia di tofu” e “bistecca vegetale”.

L’emendamento 113, proposto dalla relatrice francese del Partito Popolare Europeo Céline Imart, aveva già ottenuto l’approvazione della commissione Agricoltura lo scorso mese. La normativa stabilisce che termini quali “bistecche, scaloppine, salsicce, burger, hamburger, albumi e tuorli d’uovo” debbano essere riservati esclusivamente ai prodotti contenenti carne animale, escludendo anche i prodotti derivati da coltura cellulare sviluppati attraverso biotecnologie.

Imart, agricoltrice cerealicola della regione di Tolosa e vicepresidente dell’associazione Jeunes Agriculteurs dal 2014 al 2018, ha giustificato la proposta sostenendo che questa rappresenta “il minimo che dobbiamo agli agricoltori” e che è fondamentale “chiarire la differenza tra carne e alternative vegetali” per tutelare i produttori tradizionali. La relatrice ha sottolineato l’importanza culturale e la tipicità delle denominazioni tradizionali legate alla produzione di carne.

Il voto finale è arrivato dopo settimane di incertezza politica. Fino all’ultimo momento l’esito era rimasto in dubbio, tanto che il capogruppo del Partito Popolare Europeo Manfred Weber aveva dichiarato pubblicamente che l’emendamento “non rappresentava una priorità”, confermando le divisioni interne al gruppo sulla questione. Questa spaccatura aveva lasciato presagire un possibile insuccesso della proposta, che invece ha trovato sostegno trasversale nell’Aula europea.

La decisione del Parlamento europeo si inserisce nel contesto della revisione del regolamento sull’organizzazione comune dei mercati agricoli, proposta dalla Commissione europea in risposta alle massicce proteste dei trattori che hanno attraversato l’Europa nel corso del 2024. L’obiettivo dichiarato di questa riforma è rafforzare la posizione contrattuale degli agricoltori nella filiera agroalimentare, stabilizzando i loro redditi e garantendo condizioni più eque nel settore primario.

Tuttavia, l’approvazione in sede parlamentare non rappresenta ancora la parola definitiva sulla questione. Per entrare effettivamente in vigore, la normativa dovrà infatti ottenere l’accordo degli Stati membri durante i negoziati interistituzionali che inizieranno il prossimo 14 ottobre. Il Consiglio dell’Unione Europea dovrà quindi esprimere la propria posizione su una materia che ha già dimostrato di dividere profondamente le istituzioni europee.

L’opposizione alla misura è stata guidata dall’eurodeputata olandese dei Verdi Anna Strolenberg, membro del movimento Volt, che ha definito l’emendamento una “distrazione rispetto all’adozione di misure concrete che rafforzerebbero davvero la posizione degli agricoltori”. Secondo Strolenberg, “nessuno scambia un burger vegetale per un burger di carne” e i consumatori comprendono perfettamente la natura di questi prodotti quando sono chiaramente etichettati.

La critica più aspra riguarda i potenziali impatti economici della normativa sul settore delle alternative vegetali, che in Europa ha registrato una crescita significativa negli ultimi anni. Secondo i dati dell’organizzazione Good Food Institute Europe, il mercato italiano dei prodotti plant-based ha raggiunto i 639 milioni di euro nel 2024, registrando un incremento del 7,6 percento rispetto all’anno precedente. Le vendite di alternative vegetali alla carne hanno mostrato una crescita particolarmente dinamica, con un aumento del 14,7 percento in valore e del 16 percento in volume.

Il dibattito ha assunto connotazioni che vanno oltre gli aspetti meramente commerciali, toccando questioni di libertà d’impresa e innovazione alimentare. Gli oppositori della misura sostengono che vietare l’uso di terminologie consolidate comporterebbe costi significativi per le aziende, costrette a modificare packaging esistenti e strategie di marketing, con il rischio di scoraggiare l’ingresso di nuovi operatori nel mercato europeo.

La proposta del Parlamento europeo arriva in un momento di particolare tensione giuridica sulla materia. Lo scorso 4 ottobre, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata sul contenzioso francese relativo ai decreti che vietavano l’uso di terminologie carnee per i prodotti vegetali, stabilendo che gli Stati membri non possono introdurre divieti generali senza denominazioni legali specifiche adottate a livello nazionale o europeo.

Questo precedente giudiziario ha rafforzato le critiche di chi considera la proposta parlamentare un tentativo di aggirare le sentenze della Corte europea, alimentando ulteriormente le polemiche su quella che alcuni osservatori definiscono una “censura lessicale” che favorirebbe esclusivamente l’industria zootecnica tradizionale a scapito dell’innovazione nel settore alimentare.

Il settore plant-based europeo aveva già dovuto fronteggiare un tentativo simile nel 2020, quando il Parlamento europeo respinse il cosiddetto “Veggie Burger Ban” con 379 voti contrari contro 284 favorevoli. In quella circostanza, la mobilitazione di oltre 200 organizzazioni tra associazioni per i diritti degli animali, organizzazioni ambientaliste e imprese del settore alimentare aveva contribuito a bloccare l’iniziativa.

Oggi la situazione appare diversa, con il sostegno parlamentare alla proposta che riflette un cambiamento nell’equilibrio politico europeo e una maggiore attenzione alle istanze del settore agricolo tradizionale, particolarmente sensibilizzato dalle difficoltà economiche e dalla concorrenza internazionale che hanno alimentato le proteste dello scorso anno.

La battaglia si sposta ora sul tavolo negoziale con il Consiglio, dove gli Stati membri dovranno valutare non soltanto gli aspetti commerciali della questione, ma anche le implicazioni giuridiche evidenziate dalla recente giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, in un equilibrio complesso tra tutela della tradizione agricola, innovazione alimentare e libertà di mercato.