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La Sicilia è Sempre più Tropicale, Così Chiquita Inizia a Coltivarci Banane… Sicuri che il Cambiamento Climatico Non Esista?

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Anelli di Zucchine

La multinazionale statunitense Chiquita ha annunciato ufficialmente l’avvio della prima produzione di banane “prodotto italiano” nella storia del marchio, con una piantagione destinata a rivoluzionare l’agricoltura mediterranea. Il progetto, realizzato in partnership con la cooperativa agricola Alba Bio di Marina di Ragusa, rappresenta la manifestazione più evidente di come il cambiamento climatico stia trasformando il volto produttivo della Sicilia, trasformando l’isola in una terra sempre più simile ai tropici.

L’iniziativa prenderà concretamente forma nell’ottobre 2025 con la messa a dimora di ventimila piante biologiche di varietà Cavendish nei terreni compresi tra Marina di Ragusa e Campobello di Mazara, con i primi frutti destinati a raggiungere i punti vendita italiani ed europei già nel 2026. Si tratta di un investimento che segna una tappa storica non solo per Chiquita, colosso mondiale delle banane con ventimila dipendenti distribuiti in venticinque paesi e una produzione annuale stimata in circa quindici miliardi di frutti, ma anche per l’intero comparto agricolo siciliano.

“Con ‘prodotto italiano’ vogliamo consolidare il nostro legame con i consumatori italiani, portando per la prima volta la coltivazione delle banane nel cuore del Mediterraneo”, ha dichiarato Costabile Romano, direttore commerciale di Chiquita in Italia. L’operazione si inserisce nella filosofia aziendale “we are farmers at heart” e mira a valorizzare le comunità locali attraverso un progetto che fonde tradizione agricola italiana ed esperienza globale del marchio.

Il fenomeno non è isolato né improvviso, ma rappresenta l’accelerazione di un processo in atto da anni nell’isola. La Sicilia infatti ospita già da tempo coltivazioni sperimentali di banane, come quelle della storica Cooperativa Valle dell’Oreto nei pressi di Palermo, attiva da quattro generazioni nella produzione di quello che oggi è considerato l’unico frutto tropicale completamente made in Italy. “Nel nostro caso, per quanto riguarda le banane, i cambiamenti climatici sono stati una benedizione”, aveva dichiarato Letizia Marcenò della cooperativa palermitana, evidenziando come il progressivo riscaldamento delle temperature abbia reso possibile la coltivazione a cielo aperto di circa tremila piante senza necessità di serre riscaldate.

Le analisi climatologiche confermano questa trasformazione strutturale del clima siciliano. Secondo i dati diffusi dal NOAA, le temperature superficiali dei mari Tirreno, Adriatico e del Canale di Sicilia hanno superato i valori normali di oltre due gradi celsius rispetto alle medie storiche, alimentando quello che i meteorologi definiscono il processo di “tropicalizzazione” del Mediterraneo. L’estate 2025 ha rappresentato un punto di non ritorno, con temperature massime che hanno superato regolarmente i quaranta gradi nelle aree interne dell’isola e minime notturne tropicali persistenti anche nei mesi tradizionalmente più freschi.

Questa trasformazione climatica sta ridisegnando completamente il panorama agricolo siciliano. Oltre alle banane, l’isola ospita ormai stabilmente coltivazioni di mango, avocado, papaya, litchi, frutto della passione e persino caffè, con circa cinquecento ettari dedicati complessivamente a queste colture tropicali. Le zone più vocate si concentrano nell’area etnea, nel messinese e nel palermitano, dove il microclima favorevole e la protezione naturale dai venti creano le condizioni ideali per la crescita di piante tradizionalmente associate a latitudini completamente diverse.

L’OP Alba Bio, cooperativa nata nel 2002 e certificata Demeter per la produzione biodinamica, aveva già avviato da tempo sperimentazioni con successo sulla varietà Cavendish in piccoli appezzamenti coperti da serre non riscaldate. “Stiamo procedendo da tempo con i nostri test e ora si tratta di mettere a punto i numeri per quanto attiene le rese effettive annue, l’incidenza delle spese per ettaro e le dinamiche del mercato nazionale ed europeo”, aveva spiegato Vittorio Gona di Alba Bio, sottolineando come l’obiettivo sia sfruttare al meglio il clima favorevole coniugato alla modalità di coltivazione sostenibile.

Dal punto di vista ambientale, il progetto Chiquita presenta innegabili vantaggi in termini di sostenibilità. Le banane siciliane avranno una carbon footprint drasticamente ridotta rispetto a quelle tradizionalmente importate da America Latina, Africa o Asia, eliminando le lunghe rotte intercontinentali via mare e la conseguente immissione di anidride carbonica nell’atmosfera. Il prodotto finale sarà inoltre tracciabile al cento per cento e coltivato secondo i rigorosi standard dell’agricoltura biologica europea.

Tuttavia, l’arrivo di una multinazionale delle dimensioni di Chiquita solleva anche interrogativi sul futuro equilibrio del settore. Il colosso statunitense ha infatti un passato non privo di controversie, con accuse di greenwashing, inquinamento ambientale e conflitti sindacali che accompagnano da decenni la sua attività nei paesi produttori tradizionali. La sfida sarà integrare questo nuovo attore nel delicato ecosistema agricolo siciliano senza alterare gli equilibri ambientali e sociali che hanno consentito finora lo sviluppo sostenibile delle coltivazioni tropicali nell’isola.

Il settore della frutta tropicale italiana sta vivendo un vero e proprio boom commerciale, con un incremento del trentanove per cento in valore delle esportazioni nel 2024 e una crescita del diciassette per cento nel primo trimestre del 2025. Sono oltre cinque milioni i chilogrammi di avocado, mango e guava coltivati sul territorio nazionale che hanno raggiunto le tavole straniere, con destinazioni principali in Francia, Spagna, Grecia, Slovenia e Croazia. Un successo che testimonia l’apprezzamento dei consumatori europei per prodotti tropicali a chilometro zero e di alta qualità.

La trasformazione climatica della Sicilia presenta però anche aspetti preoccupanti che non possono essere ignorati. L’isola è attualmente l’unica regione italiana classificata come “zona rossa” per la carenza di risorse idriche, con una crisi della siccità che ha messo in ginocchio settori produttivi tradizionali come l’agricoltura e l’allevamento. Secondo uno studio di attribuzione climatica del World Weather Attribution, il riscaldamento globale ha reso la siccità in Sicilia il cinquanta per cento più probabile e più intensa, trasformando eventi che un tempo erano classificati come “severi” in episodi di siccità “estrema”.

Le proiezioni climatiche future delineano scenari ancora più drammatici. Con un aumento della temperatura media globale di soli 0,7 gradi celsius aggiuntivi, la siccità che oggi classifichiamo come estrema diventerebbe “eccezionale”, mentre con un incremento di 1,5 gradi il diciotto per cento della popolazione siciliana sarebbe colpito da scarsità idrica cronica. In questo contesto, l’introduzione di nuove colture che richiedono consistenti apporti idrici solleva interrogativi sulla sostenibilità a lungo termine di queste scelte produttive.

Le colture tradizionali siciliane stanno già soffrendo gli effetti del cambiamento climatico. Le celebri arance di Ribera DOP subiscono gli effetti di estati sempre più lunghe e calde, mentre la rete idrica fatiscente fa perdere almeno il quaranta per cento dell’acqua che potrebbe essere utilizzata nei campi. Anche gli ulivi secoliari e i vigneti storici dell’isola devono confrontarsi con temperature record e precipitazioni sempre più irregolari e concentrate in eventi estremi.

Il governo regionale siciliano, guidato da Renato Schifani, ha stanziato cento milioni di euro per contrastare il cambiamento climatico che minaccia agricoltura e zootecnia, puntando su tecnologie innovative come i “digital twin” idrici e risorse non convenzionali come il riciclo delle acque reflue e i mini-dissalatori. Un approccio che mira a trasformare le criticità climatiche in opportunità di sviluppo sostenibile, ma che richiederà investimenti massicci in infrastrutture e ricerca scientifica.

L’iniziativa di Chiquita si inserisce quindi in un contesto complesso e contraddittorio, dove le opportunità offerte dal clima che cambia si scontrano con sfide ambientali e sociali di portata epocale. Il successo di questo progetto dipenderà dalla capacità di coniugare innovazione agricola, sostenibilità ambientale e sviluppo delle comunità locali, trasformando la Sicilia in un laboratorio per l’agricoltura del futuro senza compromettere l’equilibrio di un territorio già sottoposto a stress climatici senza precedenti.

La banana siciliana di Chiquita rappresenta così molto più di una semplice diversificazione produttiva: è il simbolo di un Mediterraneo in trasformazione, dove la sfida climatica del ventunesimo secolo si gioca anche nei campi, tra tradizione millenaria e innovazione necessaria per garantire un futuro sostenibile alle generazioni che verranno.