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La Cacio e Pepe Perfetta ha Un Ingrediente Segreto: La Scoperta dei Ricercatori

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Anelli di Zucchine

Otto giovani ricercatori italiani hanno rivoluzionato uno dei piatti più emblematici della cucina romana attraverso un approccio rigorosamente scientifico che ha portato alla scoperta della formula perfetta per la cacio e pepe. Il loro studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Physics of Fluids e premiato con l’IgNobel per la Fisica 2025, ha svelato i meccanismi fisici alla base di questo piatto apparentemente semplice ma notoriamente difficile da eseguire.

I protagonisti di questa ricerca sono Davide Revignas e Daniel Maria Busiello dell’Università di Padova, Giacomo Bartolucci dell’Università di Barcellona, Fabrizio Olmeda dell’Istituto di Scienza e Tecnologia dell’Austria, Matteo Ciarchi, Ivan Di Terlizzi, Vincenzo Maria Schimmenti e Alberto Corticelli dell’Istituto Max Planck di Dresda. Tutti ricercatori tra i trenta e i trentacinque anni che si sono incontrati in Germania e che, tra una cena e l’altra dedicata ai piatti della tradizione italiana, hanno trasformato una frustrazione culinaria in un’indagine scientifica di rilievo internazionale.

L’ispirazione per questo studio nasce da un’esperienza comune a molti italiani all’estero: la difficoltà nel replicare i sapori di casa. Come racconta Ivan Di Terlizzi, ricercatore presso l’Istituto Max Planck per la Fisica dei Sistemi Complessi: “Cucinare fuori dall’Italia è una questione di orgoglio. Ma metà delle volte sbagliavo la cacio e pepe, e questo era insopportabile per me”. Da questa frustrazione personale è nata la decisione di applicare il rigore della fisica a un piatto tanto amato quanto complesso.

La cacio e pepe, che nella sua essenza richiede soltanto pasta, pecorino romano e pepe nero, nasconde in realtà complesse dinamiche fisiche che rendono la preparazione estremamente insidiosa. Il problema principale risiede nella tendenza del formaggio a separarsi dall’acqua quando sottoposto a determinate temperature, formando quegli antiestetici e sgradevoli grumi che trasformano quella che dovrebbe essere una salsa vellutata in un pasticcio filante e appiccicoso.

I ricercatori hanno analizzato oltre duecento campioni della salsa, testando diverse concentrazioni degli ingredienti e variando sistematicamente le temperature di preparazione. Utilizzando semplici strumenti da cucina per condurre gli esperimenti, hanno reso lo studio accessibile e riproducibile, applicando i principi della fisica della separazione di fase a questo contesto culinario.

La scoperta fondamentale riguarda il ruolo cruciale dell’amido come vero e proprio “terzo ingrediente” della ricetta. Sebbene tradizionalmente la cacio e pepe venga considerata un piatto a tre ingredienti – pasta, pecorino e pepe – la ricerca ha dimostrato che l’amido presente nell’acqua di cottura della pasta rappresenta l’elemento stabilizzante indispensabile per ottenere un’emulsione perfetta.

L’amido agisce come uno stabilizzante naturale, facilitando l’unione tra la componente grassa del pecorino e l’acqua, due sostanze che normalmente non si mescolano tra loro. Tuttavia, i ricercatori hanno scoperto che la quantità di amido naturalmente presente nell’acqua di cottura della pasta, che si aggira mediamente intorno all’1% del peso del formaggio, non è sufficiente a prevenire la formazione di grumi durante la preparazione.

La soluzione scientificamente validata prevede l’aggiunta controllata di amido in polvere – sia di mais che di patate – in una proporzione precisa compresa tra il 2% e il 3% del peso del formaggio. Questa percentuale rappresenta la soglia critica identificata dai ricercatori: al di sotto di questa concentrazione, si manifesta quello che gli scienziati hanno ironicamente denominato “Mozzarella Phase”, caratterizzato dalla formazione di grumi estesi che compromettono irrimediabilmente la consistenza della salsa.

Oltre alla concentrazione di amido, lo studio ha evidenziato l’importanza cruciale del controllo termico durante la preparazione. Le proteine del formaggio tendono a denaturarsi quando esposte a temperature troppo elevate, provocando la formazione di aggregati proteici che si traducono nei temuti grumi. La ricerca ha identificato un intervallo di temperatura ideale e ha stabilito che la preparazione della salsa deve avvenire lontano dal fuoco per minimizzare il rischio di surriscaldamento.

La ricetta scientificamente ottimizzata per due persone prevede 240 grammi di pasta, 160 grammi di pecorino romano (sostituibile fino a un terzo con parmigiano), 4 grammi di amido di mais sciolti in 40 millilitri d’acqua e pepe nero macinato fresco. Il procedimento prevede la preparazione di un gel di amido che viene fatto raffreddare, l’incorporazione del pecorino grattugiato fino a ottenere una crema omogenea, il riscaldamento lento della salsa, l’aggiunta del pepe nero e infine l’amalgama con la pasta scolata.

Il riconoscimento con l’IgNobel per la Fisica, assegnato durante la cerimonia del 18 settembre 2025 presso la Boston University, rappresenta un prestigioso riconoscimento internazionale per questa ricerca. Gli IgNobel, istituiti nel 1991 dalla rivista “Annals of Improbable Research”, premiano annualmente studi scientifici che “prima fanno ridere e poi fanno pensare”, celebrando ricerche apparentemente stravaganti ma dotate di indiscusso valore scientifico.

“Per noi è il più grande riconoscimento alla creatività in campo scientifico”, ha dichiarato Giacomo Bartolucci, fisico dell’Università di Barcellona e coautore dello studio. “L’obiettivo era sia soddisfare la nostra curiosità, sia affrontare il problema in termini fisici dimostrando che perfino le frustrazioni quotidiane come un piatto di pasta non riuscito possono nascondere interessanti dilemmi scientifici”.

La ricerca dimostra come l’applicazione di principi scientifici rigorosi possa perfezionare tecniche culinarie tradizionali senza snaturarne l’essenza. Lo studio della separazione di fase nei liquidi, fenomeno ampiamente studiato in biofisica e particolarmente rilevante per la comprensione dei compartimenti cellulari privi di membrana, trova qui un’applicazione pratica e accessibile che unisce tradizione gastronomica e innovazione scientifica.

Il fenomeno dell’aggregazione del formaggio, come spiegano i ricercatori, è dovuto alle proteine del pecorino e ai loro cambiamenti configurazionali quando vengono riscaldate. L’amido riesce a schermare queste interazioni, favorendo la formazione di aggregati molto più piccoli e non percepibili al palato, elemento fondamentale per il successo del piatto. Questa comprensione scientifica dei meccanismi molecolari sottostanti la preparazione della cacio e pepe apre nuove prospettive per l’ottimizzazione di altre preparazioni culinarie tradizionali.

Lo studio rappresenta un esempio paradigmatico di come la ricerca scientifica possa nascere da esigenze quotidiane e trasformarsi in contributi significativi alla conoscenza. Come sottolineato da Daniel Maria Busiello dell’Università di Padova: “Nonostante la sua apparente semplicità, realizzare una perfetta cacio e pepe, liscia e setosa, è estremamente complesso date le interazioni microscopiche coinvolte”.

L’approccio multidisciplinare adottato dai ricercatori, che ha combinato fisica teorica, sperimentazione pratica e applicazione culinaria, evidenzia il potenziale della scienza nel risolvere problemi concreti e migliorare aspetti della vita quotidiana. La pubblicazione su Physics of Fluids, una delle riviste più prestigiose nel campo della meccanica dei fluidi, conferisce ulteriore autorevolezza scientifica a questa ricerca innovativa.

In un’epoca in cui la globalizzazione culinaria rischia talvolta di standardizzare e snaturare le tradizioni gastronomiche locali, questo studio dimostra come la scienza possa essere alleata della tradizione, contribuendo a preservare e perfezionare ricette antiche attraverso la comprensione profonda dei meccanismi che ne determinano il successo. La cacio e pepe scientificamente perfetta non rappresenta quindi una negazione della tradizione, ma piuttosto la sua elevazione attraverso la conoscenza e la precisione.