AttualitàMeat-sounding: niente più “hamburger vegetale” in etichetta? La nuova proposta UE Guarda le VideoricetteSeguici su YouTube Anelli di Zucchine Seguici su YouTube! Anelli di Zucchine La Commissione europea ha riaperto, nel cuore dell’estate 2025, il dossier sul cosiddetto meat-sounding, proponendo di vietare alle alternative vegetali l’impiego di ventinove denominazioni storicamente associate alla carne, quali “beef”, “pork”, “bacon”, “ribs” o “drumsticks”, con l’obiettivo dichiarato di rafforzare la trasparenza verso i consumatori e tutelare il valore culturale di un lessico ritenuto parte integrante del patrimonio gastronomico continentale.La bozza di Regolamento, inserita nella revisione dell’Organizzazione comune di mercato dei prodotti agricoli, definisce la parola “carne” come «le parti commestibili di un animale» e si discosta dai tentativi precedenti poiché, per ora, non tocca termini largamente diffusi come “burger”, “sausage” o “steak”, la cui interdizione era stata bocciata dall’Europarlamento nel 2020 al culmine della polemica sul “veggie burger ban”.Il ritorno del divieto avviene a pochi mesi dalla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (causa C-438/23), che nell’ottobre 2024 ha giudicato illegittimi i provvedimenti nazionali volti a proibire genericamente quelle stesse denominazioni, ribadendo che la normativa vigente sull’informazione al consumatore è sufficiente a evitare fraintendimenti purché l’origine vegetale sia chiaramente indicata in etichetta.La Commissione motiva il nuovo intervento con l’esigenza di creare un corpus unico di regole ed evitare una frammentazione normativa alimentata da provvedimenti statali a geometria variabile, ma per l’European Vegetarian Union il testo finirebbe con l’imporre una restrizione sproporzionata e inutile, in assenza di evidenze significative di confusione degli acquirenti, come dimostrerebbe un sondaggio BEUC che già nel 2020 registrava fino all’80 % di consumatori favorevoli al mantenimento delle denominazioni tradizionali se accompagnate da un chiaro richiamo all’origine vegetale.Anche le organizzazioni animaliste e il neonato ecosistema industriale del plant-based contestano apertamente la proposta di Bruxelles, considerata un ulteriore favore alla lobby zootecnica; la Lega Antivivisezione ha invitato gli eurodeputati a respingere il divieto, sottolineando il contrasto fra l’impegno del Green Deal e un provvedimento che, di fatto, ostacolerebbe la transizione alimentare verso modelli più sostenibili.Dal fronte opposto, le associazioni dei produttori di carne salutano la stretta linguistica come un passo necessario a evitare quella che definiscono una “appropriazione culturale” dei nomi e a prevenire un presunto inganno nutrizionale, mentre alcuni governi, tra cui Francia e Italia, rivendicano da tempo norme restrittive sul tema.In Italia la questione si intreccia con la legge 172/2023, che vieta alle imprese di commercializzare prodotti a base di proteine vegetali impiegando denominazioni come “bistecca” o “mortadella”, ma che, dopo la sentenza della CGUE, è priva di decreti attuativi e oggetto di possibili procedure d’infrazione; il fondatore di Biolab, Massimo Santinelli, giudica «paradossale» che, mentre l’Unione promuove la transizione ecologica, si colpisca un comparto destinato a ridurre le esternalità ambientali dell’allevamento.Il testo proposto dalla Commissione dovrà ora affrontare un percorso legislativo complesso: la palla passa al Parlamento europeo, dove i gruppi politici sono già divisi, e al Consiglio, incaricato di trovare un compromesso con i ministri dell’Agricoltura; le consultazioni preliminari indicano che il calendario potrebbe slittare oltre la fine della legislatura, lasciando le aziende in un limbo normativo per l’intero 2026.Nel frattempo il mercato delle alternative vegetali continua a espandersi, con un valore stimato di 7,5 miliardi di euro entro il 2025 e tassi di crescita annuali vicini al 10 %, a conferma di un’attenzione ormai strutturale da parte dei consumatori europei, attirati da motivazioni etiche, ambientali e salutistiche.Nonostante la narrazione, spesso enfatizzata dagli stakeholder della filiera zootecnica, secondo cui i sostituti plant-based sarebbero ultra-processati e meno sani, le analisi nutrizionali mostrano in molti casi un contenuto inferiore di grassi saturi e l’assenza di colesterolo, pur richiedendo una lettura attenta delle etichette in relazione a sodio e additivi, come ricordano diversi nutrizionisti e studi divulgativi recenti.La disputa terminologica, al di là degli aspetti semantici, si trasforma così in una battaglia simbolica per il controllo del linguaggio alimentare: da un lato un settore tradizionale che vede vacillare quote di mercato, dall’altro un’industria emergente che rivendica il diritto di comunicare i propri prodotti attraverso vocaboli immediatamente comprensibili al pubblico; l’esito dipenderà dalla capacità delle istituzioni europee di conciliare tutela dei consumatori, libertà d’impresa e obiettivi climatici sanciti dalle strategie Farm to Fork e Fit for 55, evitando che la regolazione del lessico diventi un ostacolo alla transizione che la stessa UE dichiara di voler accelerare.