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Perché l’insalata di frutta si chiama Macedonia?

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Anelli di Zucchine

La macedonia di frutta, piatto estivo presente con regolarità sulle tavole italiane e non solo, rappresenta una delle soluzioni gastronomiche più apprezzate durante i mesi caldi per freschezza e varietà. Tuttavia, in pochi forse si sono soffermati sull’origine del termine che la definisce e che, a un’analisi più attenta, nasconde riferimenti storici, geografici e culturali che travalicano il semplice universo alimentare.

Il termine “macedonia” trae le sue radici dalla regione storica della Macedonia, posta oggi in parte nell’attuale Grecia del nord, e da sempre cruciale crocevia di popoli, culture e tradizioni. A partire dal XVIII secolo, nei contesti francofoni e successivamente in molti altri paesi europei, la parola “macédoine” cominciò a essere impiegata per indicare una mescolanza di elementi diversi, soprattutto in ambito culinario. La similitudine veniva, per l’appunto, dalla composizione eterogenea dei popoli che caratterizzavano l’antica Macedonia, celebri nella storia per essere stati fusi dal re Alessandro Magno in un unico esercito multietnico, capace di affrontare e conquistare territori vastissimi tra Oriente e Occidente. Tale processo di fusione di razze e tradizioni viene dunque evocato nella macedonia alimentare, che riunisce in medesimo piatto ortaggi o – nella variante oggi più diffusa – frutti differenti, accomunati esclusivamente dal taglio a piccoli pezzi e dalla successiva miscelazione.

Nel suo cammino etimologico, la parola “macedonia” appare nei vocabolari francesi già nel 1740, prima di diffondersi anche in Italia e nel resto d’Europa. Inizialmente il termine faceva riferimento non solo a preparazioni alimentari ma, in senso figurato, a qualsiasi commistione disomogenea di elementi: si parlava così di una “macedonia di lingue” in un discorso, o di una “macedonia di popoli” in geografia o storia. Non è dunque un caso che la preparazione gastronomica, destinata ad accogliere ogni sorta di ortaggio o frutta a disposizione, abbia mantenuto la medesima accezione di insieme eterogeneo – distinto dal pur raffinato mélange, che rimanda piuttosto a una miscela elegante e armonica.

La macedonia, fin dal XIX secolo, acquisisce dunque la definizione di piatto freddo composto da frutti di tipologie differenti, spesso arricchiti da zucchero, succo di limone, talvolta liquori, e destinato al consumo soprattutto durante la stagione calda, periodo in cui la varietà di frutta fresca trova il massimo della sua espressione. In alcune versioni storiche, il termine veniva applicato anche a preparazioni salate, quali insalate miste di verdure cotte e tagliate a dadini, usanza che ancora oggi sopravvive in alcune tradizioni regionali.

L’utilizzo del termine “macédoine” in Francia, e di “macedonia” in Italia, appare dunque come risultato di una sofisticata metafora storica e culturale, in cui la pluralità dei popoli balcanici e l’eterogeneità della celebre spedizione di Alessandro Magno forniscono la chiave interpretativa per comprendere il concetto di “mescolanza” che permea il piatto stesso. Il passaggio da significato figurato a gastronomico va fatto risalire, secondo fonti lessicografiche e storiche, alla seconda metà del Settecento, quando il prestigio dell’alta cucina francese introduce nei trattati di cucina – e successivamente nelle tavole aristocratiche europee – la consuetudine di offrire macedonie di ortaggi o frutta come portata rinfrescante e variopinta, espressione di ricchezza e varietà.

La fortuna etimologica della parola si consolida definitivamente nel corso dell’Ottocento, quando la moda delle macedonie si afferma in tutto il continente, rispondendo sia alle esigenze della società urbana – desiderosa di piatti leggeri, rapidamente preparabili e facilmente condivisibili in occasione di pranzi sociali – sia al gusto diffuso per i piatti estetici, in cui la presentazione cromaticamente ricca diventa valore aggiunto. La presenza contemporanea di mele, pesche, melone, anguria, uva e altri frutti autunnali e estivi, spezzettati in piccoli pezzi regolari, costituisce una rappresentazione diretta di quell’ideale di fusione-fecondazione culturale che nell’antichità la Macedonia seppe rappresentare, traghettando verso Oriente la cultura ellenistica.

Al di là dell’etimologia, la macedonia vive oggi un utilizzo globalizzato, pur mantenendo precise connotazioni regionali. In Italia la preparazione prevede perlopiù il taglio fresco dei frutti e la concia con zucchero e limone, talvolta con l’aggiunta discreta di vino bianco o di liquori dolci. In molte zone della Francia e dei Balcani il termine designa invece anche insalate miste di verdura – come la “macédoine de légumes” – anticipando così le varianti salate. Nei paesi anglosassoni, il nome “fruit salad” elimina del tutto il riferimento etimologico, privilegiando una definizione meramente descrittiva. Tuttavia, la storia del termine rimanda in modo inequivocabile a quella stagione culturale europea sette-ottocentesca in cui le cucine delle corti, le società salottiere e le nascenti classi borghesi fanno della varietà e della miscellanea un segno di raffinatezza e modernità.

Nella prospettiva contemporanea, la macedonia resta un piatto apparentemente semplice, ma che racchiude in sé significati ben più profondi del semplice piacere gustativo. La scelta della parola, ancorata a secoli di storia e a geografie inquiete, testimonia la propensione delle lingue europee a trasporre concetti storici e politici nell’universo alimentare, contribuendo a dar vita a identità culinarie composite e stratificate. Così, ogni volta che una coppa di macedonia viene servita, si rinnova – forse inconsapevolmente – l’eco di un passato in cui popoli e tradizioni si sono incontrati, mischiati e amalgamati, consegnando alla gastronomia un esempio di colorata e viva coesistenza, nella tavolozza brillante della frutta estiva.