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Infiammazione e Invecchiamento, e se la Colpa Fosse Solo del Nostro Stile di Vita?

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Anelli di Zucchine

Un innovativo studio internazionale guidato dall’Università di Sherbrooke in Canada, con la partecipazione dell’Azienda Usl Toscana Centro e pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Aging, ha messo in discussione una delle convinzioni più radicate nella scienza gerontologica: l’idea che l’inflammaging, l’infiammazione cronica di basso grado associata all’invecchiamento, sia un fenomeno biologico universale e inevitabile.

La ricerca, che ha coinvolto oltre 2.800 individui di quattro popolazioni profondamente diverse, ha rivelato risultati sorprendenti che potrebbero rivoluzionare la comprensione dell’invecchiamento umano e delle malattie croniche associate all’età. I ricercatori hanno confrontato i profili infiammatori di anziani provenienti da due Paesi industrializzati, Italia e Singapore, con quelli di due popolazioni indigene non industrializzate: i Tsimanè dell’Amazzonia boliviana e gli Orang Asli della Malesia peninsulare.

Il termine inflammaging, coniato dal ricercatore italiano Claudio Franceschi dell’Università di Bologna, descrive l’aumento graduale e persistente di citochine infiammatorie nel sangue che si verifica con l’avanzare dell’età. Questo fenomeno è stato tradizionalmente considerato un meccanismo biologico fondamentale dell’invecchiamento, strettamente correlato allo sviluppo di malattie cardiovascolari, diabete, patologie neurodegenerative e tumori.

La metodologia della ricerca si è concentrata sull’analisi di 19 diversi tipi di citochine, piccole proteine secrete dal sistema immunitario che svolgono un ruolo cruciale nella modulazione della risposta infiammatoria. Le citochine esaminate includevano interleuchina-6 (IL-6), fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-α), interleuchina-1β (IL-1β) e proteina C-reattiva, tutti marcatori chiave dell’infiammazione sistemica.

I risultati emersi dalle popolazioni industrializzate hanno confermato il pattern classico dell’inflammaging: nei soggetti italiani dello studio InCHIANTI e nei singaporiani del Singapore Longitudinal Aging Study, l’invecchiamento si associava sistematicamente a un aumento dei livelli infiammatori nel sangue. Questo incremento risultava direttamente correlato a un maggior rischio di sviluppare malattie croniche, in particolare insufficienza renale, patologie cardiovascolari e disturbi metabolici.

Tuttavia, l’analisi delle popolazioni indigene ha rivelato un quadro completamente diverso. Gli Tsimanè, popolazione di cacciatori-raccoglitori che vivono nella foresta amazzonica boliviana, e gli Orang Asli, gruppo indigeno della penisola malese, mostravano profili infiammatori marcatamente differenti. Pur presentando spesso livelli elevati di infiammazione acuta, legati a una maggiore esposizione a infezioni ambientali, questi gruppi non mostravano un chiaro aumento dell’infiammazione con l’età.

Particolarmente significativo è il caso dei Tsimanè, che nonostante presentino livelli costitutivamente elevati di infiammazione a causa della frequente esposizione a infezioni batteriche, virali e parassitarie, mostrano tassi estremamente bassi di malattie croniche tipiche dell’invecchiamento. Malattie come diabete, patologie cardiache, demenza e tumori risultano rare o largamente assenti in queste popolazioni.

Alan Cohen, primo autore dello studio e professore associato di Scienze della Salute Ambientale alla Columbia University, ha sottolineato come questi risultati suggeriscano che l’inflammaging non sia un destino biologico inevitabile, ma piuttosto una conseguenza specifica dello stile di vita industrializzato. “Nei contesti industrializzati, vediamo chiari collegamenti tra inflammaging e malattie come la malattia renale cronica, ma nelle popolazioni con alti tassi di infezione, l’infiammazione appare più riflettente del carico di malattie infettive piuttosto che dell’invecchiamento stesso”, ha dichiarato Cohen.

La ricerca ha identificato diverse caratteristiche distintive dello stile di vita moderno che potrebbero contribuire al fenomeno dell’inflammaging. Le diete ipercaloriche, caratterizzate da un eccesso di calorie e da uno squilibrio nutrizionale, rappresentano un fattore chiave nel promuovere l’infiammazione cronica. La sedentarietà, che secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità è considerata il quarto fattore di rischio di morte nel mondo, contribuisce significativamente all’instaurarsi di stati infiammatori persistenti.

Lo stress cronico, caratteristico delle società industrializzate, e l’esposizione a inquinanti ambientali costituiscono ulteriori fattori che alterano la risposta immunitaria e promuovono l’infiammazione sistemica. Paradossalmente, anche la limitata esposizione a infezioni naturali durante l’infanzia, risultato delle migliori condizioni igieniche delle società moderne, potrebbe contribuire a un disallineamento evolutivo tra i nostri sistemi immunitari e gli ambienti in cui viviamo.

Lo studio ha anche rivelato differenze sostanziali nella struttura stessa della risposta infiammatoria tra le diverse popolazioni. Mentre nelle società industrializzate l’infiammazione si presenta come un fenomeno cronico e progressivo, nelle popolazioni indigene assume caratteristiche più acute e reattive, strettamente correlate alla presenza di infezioni attive piuttosto che a processi degenerativi.

Maximilien Franck, ricercatore principale presso l’Università di Sherbrooke e primo autore dell’articolo, ha evidenziato come questi risultati possano aprire nuove prospettive nella comprensione dell’invecchiamento umano. La ricerca suggerisce che molte delle patologie croniche attualmente attribuite all’età avanzata potrebbero essere in realtà prevenibili attraverso modifiche dello stile di vita e dell’ambiente.

Le implicazioni di questo studio si estendono oltre la semplice comprensione teorica dell’invecchiamento. I risultati suggeriscono che gli interventi mirati a ridurre l’infiammazione cronica potrebbero essere più efficaci se focalizzati sui fattori ambientali e comportamentali piuttosto che su approcci puramente farmacologici. Tuttavia, Cohen ha avvertito contro l’adozione di mode alimentari anti-infiammatorie senza una comprensione approfondita della biologia sottostante.

La ricerca ha anche sollevato importanti questioni metodologiche nella valutazione dell’inflammaging. I ricercatori hanno suggerito che potrebbe essere necessario sviluppare nuovi metodi diagnostici capaci di rilevare l’infiammazione “nascosta” a livello cellulare o tissutale, poiché i marcatori tradizionali nel sangue potrebbero non essere sufficienti per catturare la complessità dei processi infiammatori in tutte le popolazioni.

La collaborazione internazionale che ha reso possibile questo studio ha coinvolto ricercatori provenienti da istituzioni prestigiose come la Columbia University, l’Università della California Santa Barbara, l’Università di Sherbrooke, e l’Azienda Usl Toscana Centro. Questa sinergia ha permesso di accedere a database popolazionali unici e di confrontare popolazioni con caratteristiche ambientali e culturali profondamente diverse.

I risultati dello studio hanno importanti implicazioni per la salute pubblica globale. Se confermati da ulteriori ricerche, potrebbero portare a una revisione delle strategie di prevenzione delle malattie croniche, spostando l’enfasi dalla gestione dell’invecchiamento inevitabile alla modificazione dei fattori ambientali e comportamentali che contribuiscono all’inflammaging.

La ricerca suggerisce inoltre che la comprensione dell’invecchiamento basata esclusivamente su studi condotti in Paesi industrializzati potrebbe aver portato a una visione limitata e parziale del processo di invecchiamento umano. L’inclusione di popolazioni con stili di vita diversi fornisce una prospettiva più ampia e accurata sulla biologia dell’invecchiamento.

Il confronto tra le popolazioni industrializzate e quelle indigene ha rivelato che l’infiammazione può assumere forme e funzioni diverse a seconda del contesto ambientale. Mentre nelle società moderne l’infiammazione cronica rappresenta spesso un fattore di rischio per le malattie croniche, nelle popolazioni indigene sembra mantenere la sua funzione protettiva primaria contro le infezioni.

Questo studio rappresenta un passo significativo verso una comprensione più sfumata e globale dell’invecchiamento umano, suggerendo che il futuro della longevità potrebbe non risiedere nel combattere l’età, ma nel distinguere l’invecchiamento biologico da quello ambientale. La scoperta che l’inflammaging non è un fenomeno universale apre nuove possibilità per interventi mirati alla prevenzione delle malattie croniche attraverso modifiche dello stile di vita e dell’ambiente.