AttualitàIl pollo vegano… non è pollo, vietato dare nomi di animali ai sostituti della carneIl Tribunale federale svizzero ha messo un punto fermo alla questione delle denominazioni dei prodotti sostitutivi della carne, accogliendo con una maggioranza di quattro voti contro uno il ricorso della Confederazione elvetica contro l’uso di espressioni come «planted chicken» (letteralmente pollo piantato) per i prodotti vegani che imitano la carne di origine animale, ribaltando così quanto precedentemente stabilito dal Tribunale cantonale amministrativo di Zurigo che si era invece espresso a favore dell’azienda produttrice in seguito a una querela da questa presentata.La sentenza, emessa ieri durante un’udienza pubblica, ha stabilito chiaramente che l’uso di nomi di animali per prodotti realizzati a base di proteine di pisello non è lecito, in quanto considerato fuorviante per i consumatori che potrebbero essere potenzialmente ingannati sul reale contenuto di ciò che acquistano, nonostante sulla confezione fosse indicato che si trattava di alimenti a base vegetale e non di carne animale.Il verdetto colpisce direttamente la Planted Foods, start-up svizzera fondata nel 2019 dal Politecnico federale di Zurigo, con sede a Kemptthal (località tra Zurigo e Winterthur), che dovrà ora procedere alla rietichettatura dei propri prodotti, attualmente commercializzati con la dicitura «planted» in caratteri grandi e termini come «chicken» o «duck» (anatra) in dimensioni più piccole, secondo le tempistiche che verranno stabilite dal Laboratorio cantonale di Zurigo, l’ente che sovrintende alla sicurezza alimentare e idrica del cantone e che aveva originariamente sollevato la questione.A fondamento della propria decisione, il Tribunale federale ha richiamato la Legge sulle derrate alimentari (LDerr) elvetica, secondo cui le informazioni sui prodotti alimentari devono corrispondere in modo fedele e non equivocabile alla realtà, evitando qualsiasi descrizione che possa indurre in errore il consumatore riguardo alla natura dell’alimento; il collegio ha ritenuto che l’utilizzo di termini come «chicken» non rispetti questo principio basilare, dato che i prodotti dell’azienda zurighese non contengono in alcun modo né carne né pollo, ma esclusivamente ingredienti di origine vegetale, principalmente proteine derivate dai piselli.La maggioranza dei giudici ha inoltre posto l’accento sul fatto che la LDerr, entrata in vigore nel 2017, è stata rivista anche con l’obiettivo di armonizzare il diritto elvetico con quello dell’Unione europea, evidenziando come sia nelle normative di Berna che in quelle di Bruxelles il pollo sia definito propriamente come carne, rendendo di conseguenza impossibile utilizzare questo termine specifico su confezioni di prodotti vegani che, per loro stessa natura, sono privi di qualsiasi componente di origine animale.Si tratta di una decisione che segna un importante precedente in Europa, in controtendenza rispetto a quanto stabilito dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nell’ottobre 2024, quando i giudici comunitari avevano invece affermato che uno Stato membro non può generalmente vietare ai produttori di sostituti della carne a base vegetale di utilizzare denominazioni come «hamburger vegetariano» o «filetto vegano», a meno che non venga adottata una specifica definizione giuridica del prodotto, lasciando di fatto molta più libertà nell’etichettatura di questi alimenti alternativi.La posizione della Confederazione elvetica si allinea invece con quanto sostenuto dall’Italia, che nel dicembre 2023, con la legge 172/2023, ha introdotto il divieto della denominazione di carne per i prodotti trasformati contenenti proteine vegetali, pur trovandosi attualmente in una fase di stallo applicativo in attesa dei decreti con cui il Ministero dell’Agricoltura dovrà adottare l’elenco specifico delle denominazioni vietate, senza contare che la norma italiana presenta alcune criticità procedurali in relazione alla direttiva TRIS dell’Unione Europea.Alla notizia della sentenza, Planted Foods ha manifestato la propria delusione attraverso le parole di Judith Wemmer, co-fondatrice dell’azienda e presidente della Swiss Protein Association, che in un comunicato provocatoriamente intitolato «No Chicken no cry», parafrasando la celebre canzone di Bob Marley, ha definito la decisione «dettata dalla politica e dalle emozioni» e «in contraddizione» con la politica del governo svizzero di incoraggiare «una dieta più a base vegetale», difendendo al contempo la chiarezza delle proprie etichette, sostenute secondo l’azienda da uno studio che avrebbe dimostrato come il 93% dei consumatori capirebbe immediatamente che l’espressione «planted chicken» si riferisce a un prodotto di origine vegetale.Nonostante il contraccolpo, Wemmer ha dichiarato che l’azienda continuerà la propria attività con rinnovata creatività: «I nostri prodotti hanno già salvato la vita di 3.493.696 polli, un risultato di cui siamo incredibilmente orgogliosi; non importa cosa sia scritto sulla confezione, il contenuto rimane lo stesso, Planted continuerà a essere servito sulle tavole svizzere, dovremo solo essere più creativi nella comunicazione, del resto avevamo già pronto un nuovo packaging».Ma al di là delle comprensibili reazioni dell’azienda colpita, la sentenza del Tribunale federale svizzero rappresenta un significativo passo avanti verso una maggiore trasparenza nel settore alimentare, proteggendo le denominazioni tradizionali e garantendo al consumatore la possibilità di compiere scelte d’acquisto consapevoli, basate su informazioni chiare e non ambigue, principio fondamentale in un mercato sempre più complesso e caratterizzato da un’offerta alimentare in continua evoluzione e diversificazione.Il tema della corretta denominazione dei prodotti vegetali che imitano la carne è diventato centrale nel dibattito pubblico dei paesi occidentali, dove la crescente sensibilità verso le tematiche ambientali sta spingendo il mercato dei prodotti alternativi, incontrandosi spesso con resistenze, come appunto in Italia, sia da parte dei tradizionali produttori agricoli sia dalle istituzioni che, attraverso regolamentazioni specifiche, cercano di mantenere una chiara distinzione tra alimenti di origine animale e i loro sostituti vegetali, salvaguardando così non solo la trasparenza informativa ma anche il patrimonio culturale e gastronomico tradizionale.