Vai al contenuto

Carne scaduta da 20 anni e conserve a rischio botulino: nei rifugi Emiliani sequestrati 700 kg di cibo

Seguici su YouTube!
Anelli di Zucchine

Un’operazione senza precedenti condotta dai Carabinieri del Nucleo Antisofisticazioni e Sanità di Bologna ha svelato una realtà inquietante nei rifugi dell’Appennino emiliano-romagnolo, dove oltre 700 chilogrammi di alimenti scaduti, alcuni da oltre vent’anni, erano pronti per essere serviti a turisti ed escursionisti ignari dei rischi per la salute.

I controlli, effettuati nell’ultimo mese su sedici strutture ricettive distribuite lungo i versanti dell’Appennino, hanno rivelato un quadro allarmante: solo quattro rifugi sono risultati pienamente conformi alle normative, mentre i restanti dodici presentavano irregolarità talmente gravi da costringere le autorità a sequestrare un ingente quantitativo di prodotti alimentari del valore commerciale di circa 35.000 euro.

Le ispezioni hanno portato alla luce situazioni che sfidano ogni principio di sicurezza alimentare. Nei magazzini e nelle cucine ispezionate, i militari hanno rinvenuto carni di cervo, cinghiale e daino, trote salmonate, salumi e latticini ormai deteriorati, conservati in condizioni del tutto inadeguate. Particolarmente grave il caso di prodotti alimentari mantenuti in congelatori per anni, fino a risultare irriconoscibili e privi di ogni garanzia di sicurezza.

La situazione igienico-sanitaria rilevata in molte strutture ha dell’incredibile. In diversi rifugi, cani e gatti di grossa taglia erano liberi di muoversi nei magazzini alimentari e persino tra i piani di lavoro dove venivano preparate le pietanze. Le cucine, spesso totalmente annerite dal fumo dei fuochi, presentavano intonaci distaccati e caduti direttamente sui fornelli e sui piani di lavorazione, creando condizioni di lavoro pericolose per la preparazione degli alimenti.

Ma le irregolarità più gravi sono emerse nell’organizzazione degli spazi destinati alla conservazione e alla lavorazione degli alimenti. In una locanda di montagna, i Carabinieri hanno scoperto un laboratorio abusivo per la preparazione di pasta all’uovo ricavato in un garage, con il pavimento letteralmente cosparso di deiezioni di roditori. In un altro caso, il magazzino di bevande e alimenti deperibili era stato allestito all’interno di una legnaia semi-aperta, mentre in una struttura diversa un congelatore contenente carni di selvaggina e funghi era stato collocato nel bagno privato.

Le attrezzature utilizzate per la preparazione dei cibi versavano in condizioni deplorevoli. Gli ispettori hanno trovato affettatrici incrostate da residui rancidi di salumi, mai sanificate da tempo, e impastatrici completamente sporche nonostante l’utilizzo continuativo per la produzione di impasti destinati alla panificazione e alla pasta fresca. Diversi magazzini erano letteralmente invasi da ragnatele e muffe, rendendo gli ambienti assolutamente insalubri per la conservazione di alimenti freschi.

Un aspetto particolarmente preoccupante riguarda la preparazione di conserve alimentari senza il rispetto delle procedure di sicurezza. In tre rifugi, i gestori producevano confetture e verdure sott’olio senza adeguate procedure di pastorizzazione, esponendo i consumatori al rischio concreto di sviluppo del botulino, una tossina potenzialmente letale che può formarsi in conserve preparate incorrettamente.

La mancanza di tracciabilità dei prodotti alimentari ha rappresentato un’altra grave violazione delle normative. In un rifugio sono stati sequestrati oltre cinque chilogrammi di tartufo nero estivo privo di qualsiasi indicazione sui canali di approvvigionamento, mentre in un’altra struttura i Carabinieri hanno trovato sei chilogrammi di funghi porcini essiccati dai gestori stessi, senza alcun documento che attestasse l’avvenuta verifica sulla commestibilità e salubrità eseguita dall’ispettorato micologico dell’Azienda Sanitaria Locale competente.

Il bilancio dell’operazione è pesante sotto tutti gli aspetti. Sono stati sequestrati complessivamente oltre 700 chilogrammi di alimenti, principalmente carni di selvaggina, bovini, trote, salumi, latticini e bevande, molti dei quali erano destinati alla preparazione di piatti da servire ai clienti. Le sanzioni amministrative elevate ammontano a 27.000 euro, mentre quattro attività di ristoro sono state sospese per un valore economico complessivo di circa 2,6 milioni di euro.

La gravità delle irregolarità riscontrate ha spinto i Carabinieri del NAS a segnalare immediatamente tutti i casi alle Aziende Sanitarie Locali competenti per l’emissione dei provvedimenti restrittivi previsti dalla normativa. Questa operazione rappresenta un campanello d’allarme per l’intero settore della ristorazione montana, evidenziando come dietro l’apparente genuinità di molti rifugi di montagna possano nascondersi pratiche estremamente rischiose per la salute pubblica.

L’indagine ha rivelato come la pressione economica su queste piccole strutture, spesso gestite con margini risicati, possa spingere alcuni operatori a prendere scorciatoie pericolose nella gestione degli alimenti. La mancanza di controlli regolari e di formazione adeguata per i gestori ha contribuito a creare situazioni in cui la sicurezza alimentare è stata completamente trascurata, mettendo a rischio la salute di migliaia di escursionisti che frequentano l’Appennino durante la stagione estiva.

Il fenomeno non si limita a episodi isolati, ma sembra rappresentare una problematica sistemica che coinvolge una significativa percentuale delle strutture ricettive montane. Tre rifugi su quattro non rispettavano le minime condizioni di sicurezza alimentare, un dato che evidenzia la necessità di un intervento strutturale per garantire standard igienico-sanitari adeguati in un settore cruciale per il turismo montano.

La normativa italiana prevede che tutti i rifugi montani adottino il Piano HACCP, un sistema di autocontrollo dei punti critici nel trattamento degli alimenti, e che dispongano dell’attestato del corso di formazione per il responsabile del sistema HACCP. Tuttavia, l’operazione dei Carabinieri ha dimostrato come questi obblighi vengano spesso disattesi, creando situazioni di grave pericolo per la salute pubblica.

Il rischio botulino, in particolare, rappresenta una delle minacce più serie. Il Clostridium botulinum è un batterio anaerobico che può proliferare nelle conserve preparate senza adeguate procedure di pastorizzazione, producendo una tossina estremamente pericolosa che può causare paralisi e, nei casi più gravi, arresto respiratorio. La presenza di conserve preparate artigianalmente senza le necessarie precauzioni in tre dei rifugi controllati evidenzia un rischio concreto per la salute dei consumatori.

Le autorità sanitarie hanno sottolineato come la preparazione di conserve domestiche richieda il rigoroso rispetto di procedure specifiche, inclusa l’acidificazione dei prodotti mediante aggiunta di aceto per raggiungere un pH inferiore a 4,5, condizione necessaria per impedire lo sviluppo del batterio del botulino. L’assenza di queste precauzioni nelle strutture ispezionate ha rappresentato uno dei fattori di maggiore preoccupazione per gli investigatori.

L’operazione condotta dal NAS di Bologna si inserisce in un più ampio piano di controllo sulla sicurezza alimentare nei luoghi ad alta frequentazione turistica. I controlli proseguiranno nei prossimi mesi per garantire che l’esperienza escursionistica sull’Appennino rimanga sicura e piacevole, ma sarà necessario un cambiamento culturale profondo nel settore per evitare il ripetersi di situazioni così gravi.

La vicenda ha sollevato interrogativi sulla necessità di intensificare i controlli preventivi e di implementare programmi di formazione obbligatoria per i gestori di rifugi montani. Esperti del settore sottolineano come sia indispensabile un sistema di supporto che accompagni i gestori nell’applicazione delle normative igienico-sanitarie, evitando che la pressione economica possa compromettere la sicurezza alimentare.

Il caso ha anche evidenziato l’importanza della tracciabilità alimentare, un principio fondamentale della sicurezza alimentare che consente di ricostruire la filiera di ogni prodotto. La presenza di tartufi e funghi senza documentazione sui canali di approvvigionamento rappresenta una violazione grave che impedisce di garantire la sicurezza e la qualità dei prodotti serviti ai clienti.

Le conseguenze economiche dell’operazione sono significative non solo per i gestori direttamente coinvolti, ma per l’intero comparto turistico montano. La sospensione di quattro attività per un valore di 2,6 milioni di euro rappresenta un duro colpo per l’economia locale, ma le autorità hanno sottolineato come la tutela della salute pubblica debba prevalere su ogni considerazione economica.

Particolarmente allarmante è emersa la gestione degli animali domestici all’interno delle strutture. La presenza di cani e gatti liberi di muoversi nei magazzini alimentari e nelle aree di preparazione dei cibi rappresenta una violazione grave delle norme igieniche, con il rischio di contaminazione crociata e di trasmissione di agenti patogeni agli alimenti destinati al consumo umano.

L’indagine ha anche rivelato carenze strutturali significative, con locali di preparazione e conservazione degli alimenti ricavati in spazi inadeguati come garage e legnaie. Queste soluzioni improvvisate non solo violano le normative vigenti, ma creano condizioni ambientali che favoriscono la proliferazione di microrganismi patogeni e la contaminazione degli alimenti.

La questione della formazione del personale emerge come elemento cruciale. La normativa regionale prevede che i responsabili delle attività di somministrazione debbano possedere adeguate competenze in materia di igiene alimentare, ma l’operazione del NAS ha dimostrato come queste competenze siano spesso carenti o del tutto assenti.

Le autorità regionali dell’Emilia-Romagna stanno valutando l’implementazione di misure più stringenti per il controllo delle attività di ristorazione montana, inclusa la possibilità di audit più frequenti e l’obbligo di certificazioni specifiche per i gestori di rifugi. L’obiettivo è garantire che episodi simili non si ripetano e che il turismo montano possa continuare a rappresentare una risorsa sicura e affidabile per la regione.

Il settore della ristorazione montana dovrà affrontare una fase di profonda revisione delle proprie pratiche operative. La vicenda dei rifugi emiliani rappresenta un precedente che potrebbe spingere verso controlli più rigorosi anche in altre regioni italiane, con potenziali ripercussioni su tutto il comparto nazionale.

L’operazione del NAS di Bologna ha dimostrato che la montagna, tradizionalmente associata a concetti di genuinità e naturalezza, non è immune dai rischi legati alla cattiva gestione alimentare. La necessità di coniugare tradizione e sicurezza rappresenta la sfida principale per il futuro del settore, che dovrà trovare un equilibrio tra l’autenticità dell’esperienza montana e il rispetto rigoroso delle normative sanitarie.

Le conseguenze di questa operazione si estenderanno ben oltre le singole strutture coinvolte, influenzando le pratiche di tutto il settore e la percezione dei consumatori nei confronti della ristorazione montana. Solo attraverso un impegno concreto per il miglioramento degli standard igienico-sanitari sarà possibile ristabilire la fiducia del pubblico e garantire la sostenibilità a lungo termine di questa importante componente del turismo italiano.