AttualitàCarne di pollo e cancro: c’è un legame? Risponde la Fondazione Veronesi Guarda le VideoricetteSeguici su YouTube Anelli di Zucchine Seguici su YouTube! Anelli di Zucchine La recente pubblicazione di uno studio dell’IRCCS «Saverio de Bellis» di Castellana Grotte, apparsa sulla rivista Nutrients, ha riacceso il dibattito sul ruolo della carne di pollo nella genesi dei tumori dell’apparato digerente, ponendo interrogativi che coinvolgono clinici, nutrizionisti e consumatori in un confronto che supera i confini accademici e investe le scelte alimentari quotidiane.Secondo i ricercatori pugliesi, l’osservazione di 4.869 adulti seguiti per quasi vent’anni rivela che un consumo settimanale di pollame superiore a 300 grammi sarebbe associato a un incremento del 27 per cento del rischio di mortalità per tutte le cause e a un raddoppio della mortalità per neoplasie gastrointestinali, con un effetto particolarmente pronunciato negli uomini. Già nella fascia compresa tra 100 e 200 grammi si registrerebbe un aumento del rischio del 35 per cento, valore che invita a riconsiderare la tradizionale percezione della carne bianca come opzione intrinsecamente più sicura rispetto alle carni rosse.Il disegno dello studio – di natura prospettico-osservazionale e fondato su questionari validati sullo stile alimentare, incrociati con i registri di mortalità regionali – garantisce robustezza statistica ma non consente di stabilire un nesso causale diretto tra alimento e malattia. Gli autori, pur avendo corretto l’analisi per variabili come età, indice di massa corporea, fumo e attività fisica, non hanno potuto controllare parametri cruciali quali le modalità di cottura o la provenienza della carne, elementi che possono modificare sensibilmente l’impatto sanitario del prodotto.Sul versante biologico, l’ipotesi più accreditata chiama in causa la formazione di ammine eterocicliche e idrocarburi policiclici aromatici quando il pollo viene sottoposto a temperature molto elevate, come avviene nelle grigliate o nelle fritture profonde. A ciò si aggiungono le possibili interferenze di antibiotici, promotori di crescita o mangimi ricchi di grassi polinsaturi ossidabili che, in determinate condizioni di allevamento intensivo, possono contribuire alla comparsa di composti pro-ossidanti e pro-infiammatori.Il dato appare ancora più significativo se confrontato con le certezze consolidate sul rischio da carni rosse e lavorate: l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, fin dal 2015, ha inserito le seconde nel gruppo delle sostanze «sicuramente cancerogene» e le prime tra quelle «probabilmente cancerogene». Fino a oggi il pollame era rimasto ai margini di tali classificazioni, grazie a un profilo lipidico ritenuto più favorevole e a un contenuto inferiore di ferro eme, fattori che ne avevano decretato la popolarità nei regimi dietetici a vocazione salutistica.La Fondazione Umberto Veronesi, interpellata in merito, invita alla prudenza nell’interpretare i risultati, ricordando che – in assenza di evidenze sperimentali di tipo randomizzato – gli studi osservazionali possono evidenziare associazioni ma non provare che un alimento «faccia venire» il tumore. Il supervisore scientifico Elena Dogliotti sottolinea che le Linee guida per un’alimentazione sana del CREA continuano a indicare da una a tre porzioni settimanali di carne bianca da 100 grammi ciascuna, mentre per la carne rossa il limite resta fissato a 500 grammi in totale; più che demonizzare un singolo cibo, occorre concentrare l’attenzione sull’intero modello dietetico e sul metodo di cottura, privilegiando temperature moderate, marinature ricche di antiossidanti e un’alimentazione prevalentemente vegetale.Sul piano epidemiologico, la letteratura internazionale rimane altalenante: vaste coorti statunitensi e britanniche hanno talvolta rilevato un ruolo neutro, se non addirittura protettivo, del pollame in relazione a tumori del seno o del colon quando questo sostituisce le carni rosse, mentre altre indagini condotte in Asia hanno evidenziato andamenti diversi, complice la variabilità nei metodi di preparazione e nella composizione degli allevamenti. Questa eterogeneità impone studi futuri più mirati, capaci di distinguere fra tagli, pratiche zootecniche, esposizione a contaminanti ambientali e stili culinari.Un ulteriore elemento di riflessione riguarda l’utilizzo di antimicrobici: dal 2022 l’Unione europea ha vietato la profilassi antibiotica di massa negli allevamenti avicoli, ma i residui farmacologici possono persistere qualora gli intervalli di sospensione non vengano rispettati. Il rispetto di tali normative rappresenta quindi un argine essenziale contro lo sviluppo di resistenze e potenziali effetti indiretti sulla salute umana.Alla luce delle nuove evidenze, la comunità scientifica converge su alcuni punti fermi: la prevenzione oncologica resta multifattoriale; l’abitudine al fumo, il consumo di alcol, l’eccesso ponderale e la sedentarietà incidono in misura ben superiore rispetto a singoli alimenti; una dieta mediterranea equilibrata, ricca di fibre, legumi, cereali integrali, ortaggi e frutta fresca, mantiene un ruolo chiave nel contenimento del rischio tumorale complessivo.In tale cornice, la carne di pollo può continuare a comparire sulle tavole italiane, purché in quantità moderate e preparata con metodi che minimizzino la carbonizzazione delle proteine. Il vero discrimine non è dunque il colore della carne, ma il contesto alimentare, ambientale e tecnologico in cui essa viene prodotta e consumata.Le prossime ricerche dovranno chiarire se il responso dello studio pugliese sia replicabile in altre popolazioni, se eventuali biomarcatori di esposizione possano corroborare l’ipotesi di un legame biologico diretto e se interventi sulle filiere, dalla genetica dei broiler alla riformulazione dei mangimi, possano ridurre i potenziali fattori di rischio.In attesa di dati più definitivi, il consiglio degli esperti resta invariato: limitare le carni processate, variare le fonti proteiche alternando legumi, pesce azzurro e uova, scegliere tagli magri, eliminare visibili parti grasse e, soprattutto, adottare tecniche di cottura dolci. Solo un approccio complessivo allo stile di vita, supportato da programmi di screening e da politiche di educazione alimentare, può tradursi in una riduzione significativa dell’incidenza tumorale a lungo termine.