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Carne coltivata: meno della metà degli italiani è pronta ad assaggiarla

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Anelli di Zucchine

L’introduzione della carne coltivata, ottenuta da cellule animali in laboratorio senza l’abbattimento degli animali stessi, rappresenta una delle più rilevanti innovazioni del settore alimentare degli ultimi anni. Tuttavia, in Italia, la percezione di questa nuova frontiera alimentare rimane caratterizzata da una forte polarizzazione tra curiosità, diffidenza e richieste di trasparenza.

Secondo l’ultima indagine condotta da Altroconsumo in collaborazione con Euroconsumers, solo il 47% degli italiani si dichiara disponibile ad assaggiare la carne coltivata, mentre appena il 23% afferma di sentirsi realmente informato sull’argomento. La conoscenza del prodotto risulta quindi ancora superficiale, nonostante oltre il 70% degli intervistati abbia dichiarato di averne sentito parlare. La comprensione dei processi produttivi rimane invece limitata, con solo il 20% degli italiani che ritiene di sapere come venga effettivamente realizzata la carne coltivata.

Il dato relativo alla propensione all’assaggio si inserisce in un quadro più ampio di cambiamento delle abitudini alimentari. Il 97% degli italiani consuma carne almeno una volta a settimana, ma oltre la metà ha già ridotto le quantità negli ultimi cinque anni o prevede di farlo in futuro. La sostenibilità ambientale rappresenta un criterio d’acquisto sempre più rilevante: il 75% degli intervistati la considera fondamentale, mentre il 67% chiede etichette più chiare sull’impatto ambientale dei prodotti. Nonostante ciò, la tradizione e la cultura alimentare italiana continuano a rappresentare un freno all’adozione di alternative alla carne convenzionale: il 34% degli italiani si dichiara legato alla carne per motivi familiari e identitari, mentre il 28% ritiene inutile un cambiamento individuale delle proprie abitudini alimentari.

Le principali preoccupazioni legate alla carne coltivata riguardano la salute e la sicurezza: il 50% degli intervistati teme possibili rischi a lungo termine, mentre un terzo sarebbe disposto a cambiare opinione in presenza di benefici clinici documentati. Il gusto e la consistenza rappresentano un ulteriore elemento discriminante: il 50% degli italiani si dichiara disposto a provarla solo se il prodotto risultasse simile alla carne tradizionale, evidenziando come l’esperienza sensoriale sia ancora centrale nelle scelte alimentari.

Un altro elemento cruciale è rappresentato dalla fiducia nelle istituzioni e nei controlli: il 50% degli italiani afferma che assaggerebbe la carne coltivata solo dopo il via libera dell’EFSA, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare. Il 61% considera fondamentale l’approvazione ufficiale delle autorità comunitarie prima della commercializzazione di qualsiasi nuovo alimento, a riprova di una generale richiesta di regole chiare e rigorosi controlli sulla sicurezza alimentare.

La nomenclatura utilizzata per descrivere il prodotto influisce sensibilmente sulla percezione dei consumatori. Termini come “carne artificiale” o “carne in vitro” suscitano una maggiore repulsione rispetto a espressioni come “carne coltivata” o “carne pulita”, che risultano più accettabili. Questo aspetto semantico si riflette anche sulle intenzioni di consumo: quando la carne viene definita “artificiale”, solo il 5% degli italiani dichiara l’intenzione di consumarla, mentre la percentuale cresce se si utilizzano termini percepiti come più neutri o positivi.

Il dibattito sulla carne coltivata in Italia è fortemente influenzato dal contesto politico ed economico. Il governo italiano si è mostrato particolarmente ostile nei confronti di questa innovazione, motivando la propria posizione con la necessità di difendere la salute dei cittadini, il modello produttivo nazionale e la cultura gastronomica italiana. A questo si aggiungono le pressioni delle lobby dell’agricoltura e dell’allevamento, in particolare della Coldiretti, che considera la carne coltivata una minaccia per il settore zootecnico tradizionale e per il tessuto economico e sociale delle aree rurali. Le preoccupazioni espresse riguardano anche la qualità nutrizionale, la sicurezza a lungo termine e il potenziale impatto ambientale, con la convinzione che l’allevamento tradizionale promuova la biodiversità e preservi i paesaggi rurali italiani.

Nonostante l’opposizione istituzionale e le campagne informative spesso orientate a sottolineare i rischi e le incertezze, dai dati emerge una crescente curiosità, soprattutto tra le fasce più giovani della popolazione, più aperte all’innovazione e al cambiamento delle abitudini alimentari. I principali motivi che spingerebbero gli italiani a provare la carne coltivata sono la riduzione dell’impatto ambientale e il minor numero di animali allevati e macellati, a fronte di un mercato globale della carne che incide per il 30% sulle emissioni di gas serra e consuma il 70% delle risorse idriche, con la carne bovina che genera 75 volte più CO₂ rispetto ai legumi.

In conclusione, la carne coltivata si trova oggi al centro di un acceso dibattito tra sostenibilità, innovazione e difesa delle tradizioni. Se da un lato meno della metà degli italiani si dichiara pronta ad assaggiarla, dall’altro emergono segnali di cambiamento, soprattutto tra i giovani e tra chi è più informato. Il futuro della carne coltivata in Italia dipenderà dalla capacità di offrire garanzie di sicurezza, trasparenza e qualità, nonché dalla volontà di integrare l’innovazione nel rispetto del patrimonio culturale e produttivo nazionale.