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Allerta Mercurio nel Pesce, Ecco le Specie a Rischio che Dovete Assolutamente Evitare

Un recente documento del Consiglio Nazionale per la Sicurezza Alimentare (CNSA) ha riacceso l’attenzione sul tema del mercurio nel pesce, evidenziando come per alcune fasce della popolazione il consumo di determinate specie ittiche possa comportare rischi significativi per la salute che superano i benefici nutrizionali. L’allerta arriva dopo che il Regolamento UE 2022/617 del 12 aprile 2022 ha modificato i tenori massimi consentiti di questo metallo pesante nei prodotti ittici, introducendo limiti più severi per alcune categorie di pesce e stabilendo per la prima volta un limite anche per il sale da cucina, fissato a 0,1 mg/kg conformemente a quanto stabilito dal Codex Alimentarius e precedentemente già adottato in Italia con il DM 106 del 31 gennaio 1997.

Il mercurio è un contaminante ambientale che tende ad accumularsi nell’organismo dei pesci e molluschi attraverso un processo di “biomagnificazione”, un fenomeno che fa sì che i pesci predatori di grossa taglia e più anziani presentino concentrazioni nettamente superiori rispetto alle specie più piccole. Questo metallo pesante è particolarmente insidioso nella sua forma organica di metilmercurio, che colpisce il sistema nervoso centrale in via di sviluppo, con il feto e i bambini piccoli che rappresentano le categorie più vulnerabili agli effetti neurotossici, tra cui alterazioni dello sviluppo neurologico, problemi di crescita, compromissione delle funzioni locomotorie e disturbi uditivi.

Le specie ittiche a più alto contenuto di mercurio

Al vertice della classifica dei pesci più contaminati da mercurio troviamo il pesce spada, il cui contenuto medio si attesta intorno a 0,97 mg/kg, un valore che si avvicina pericolosamente al limite massimo stabilito dalle normative europee per questa specie, fissato a 1 mg/kg. Il meccanismo di accumulo è particolarmente accentuato in questa specie predatrice che, nutrendosi di pesci più piccoli già contaminati, concentra il metallo nel proprio organismo, soprattutto negli esemplari più grandi e longevi che possono arrivare a contenere quantità di mercurio anche superiori ai limiti consentiti.

Segue in questa graduatoria il marlin, con valori che secondo alcuni studi possono raggiungere i 2,4 mg/kg, ben oltre i limiti di sicurezza, e il tonno rosso (Thunnus thynnus), con concentrazioni medie di 0,38 mg/kg, inferiori rispetto al pesce spada ma comunque significative, specialmente considerando che il tonno è uno dei pesci più consumati al mondo, sia fresco che in conserva. Anche la cernia risulta particolarmente problematica con concentrazioni di mercurio che si attestano mediamente attorno a 0,46 mg/kg, un valore considerevole per un pesce così apprezzato sulle tavole degli italiani per la sua carne tenera e il sapore delicato.

Completano il quadro delle specie più a rischio lo squalo, il luccio, il nasello e l’anguilla, quest’ultima con valori medi di 0,19 mg/kg, inferiori rispetto ad altre specie predatrici ma comunque non trascurabili. Secondo i dati raccolti dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e riportati nel documento del CNSA, anche alcune specie apparentemente insospettabili come il merluzzo e la sogliola possono rappresentare un problema per i bambini più piccoli, che con il consumo regolare di questi pesci rischiano di superare la dose settimanale tollerabile di metilmercurio prima di raggiungere l’assunzione raccomandata di acidi grassi omega-3.

Le categorie più a rischio e le raccomandazioni

I dati analizzati dagli esperti mostrano una situazione particolarmente preoccupante per le fasce più vulnerabili della popolazione, con i bambini di età compresa tra uno e tre anni che raggiungono la dose tollerabile con appena una porzione e mezzo di pesce ad alto contenuto di mercurio, mentre per i bambini tra i tre e i dieci anni il limite viene superato con mezza porzione settimanale. Analogamente, le donne in età fertile e in particolare quelle in gravidanza o in fase di allattamento superano il livello di sicurezza con appena 0,7 porzioni settimanali, un quantitativo che non consente di beneficiare appieno degli effetti positivi legati al consumo di pesce.

In questo contesto, l’Agenzia spagnola per la Sicurezza Alimentare e l’Alimentazione (AESAN) ha adottato misure particolarmente severe, raccomandando di evitare completamente il consumo di pesce spada, tonno rosso, squalo e luccio alle donne in gravidanza e ai bambini fino ai 10 anni di età, mentre per la fascia tra i 10 e i 14 anni viene suggerito un consumo massimo di 120 grammi al mese. L’EFSA, dal canto suo, invita gli Stati membri a esaminare attentamente i modelli nazionali di consumo di pesce e a valutare il rischio per i diversi gruppi della popolazione, con particolare attenzione ai Paesi dove le specie con elevato contenuto di mercurio vengono consumate con regolarità.

Il Consiglio Nazionale per la Sicurezza Alimentare italiano suggerisce un approccio più equilibrato ma comunque prudente, raccomandando di limitare il consumo di pesci predatori come tonno, pesce spada, verdesca, luccio, palombo e smeriglio a una sola porzione settimanale, estendendo il limite a due porzioni per quanto riguarda il tonno in scatola, che generalmente presenta concentrazioni inferiori rispetto al prodotto fresco. Per la popolazione generale adulta, invece, non sembrano emergere particolari rischi per la salute, a condizione che si segua una dieta variata che includa 3-4 porzioni di pesce a settimana, alternando adeguatamente pesce azzurro e pesce bianco.

Alternative più sicure e strategie di consumo consapevole

Per garantire i benefici nutrizionali del pesce riducendo al minimo l’esposizione al mercurio, gli esperti suggeriscono di preferire specie a basso contenuto di questo contaminante, come la spigola, che risulta tra i pesci più sicuri secondo le analisi effettuate, o pesci di piccola taglia e specie grasse come l’aringa, lo sgombro, il salmone e la trota, che presentano un rapporto rischio/beneficio decisamente più favorevole. Questi pesci non solo contengono meno mercurio, ma sono anche ricchi di acidi grassi omega-3, proteine di alta qualità e numerosi micronutrienti essenziali per la salute.

Particolarmente importante risulta la diversificazione delle specie consumate, evitando di concentrarsi sempre sugli stessi tipi di pesce e privilegiando, quando possibile, prodotti di allevamento alimentati con mangimi prevalentemente vegetali, che tendono ad accumulare quantità inferiori di metilmercurio rispetto ai loro omologhi selvatici. È inoltre fondamentale prestare attenzione alla provenienza del pesce, privilegiando zone di pesca meno contaminate e fornitori che garantiscano controlli rigorosi sulla presenza di metalli pesanti nei loro prodotti.

Nonostante le preoccupazioni legate al mercurio, gli esperti sono unanimi nel raccomandare di non eliminare il pesce dalla dieta, considerando i suoi innumerevoli benefici nutrizionali tra cui l’apporto di proteine facilmente digeribili, vitamine del gruppo B, D e A, e soprattutto acidi grassi omega-3 con benefici effetti sul sistema cardiovascolare e sul neurosviluppo. Si tratta piuttosto di adottare un approccio consapevole e informato al consumo di prodotti ittici, che tenga conto delle specificità individuali e delle esigenze nutrizionali delle diverse fasce d’età, privilegiando la varietà e la moderazione, soprattutto per quanto riguarda le specie potenzialmente più contaminate.

È importante sottolineare che in Italia, così come in tutta l’Unione Europea, l’importazione e il commercio di prodotti ittici sono sottoposti a rigidi controlli da parte delle autorità sanitarie, che verificano regolarmente la conformità ai limiti stabiliti dalla normativa vigente. Nel 2019, su oltre 6700 campioni analizzati, solo 25 sono risultati irregolari, evidenziando un sistema di controllo efficace che garantisce un elevato livello di protezione per i consumatori, pur lasciando a questi ultimi la responsabilità di compiere scelte alimentari consapevoli, specialmente quando si tratta delle fasce più vulnerabili della popolazione.