AttualitàPane più costoso (+31%) nonostante il crollo del grano: perché paghiamo sempre di più? Guarda le VideoricetteSeguici su YouTube Anelli di Zucchine Seguici su YouTube! Anelli di Zucchine Negli ultimi quattro anni, mentre gli italiani hanno assistito a un graduale ma inesorabile aumento del prezzo del pane, con un incremento complessivo che ha raggiunto il considerevole 31%, le quotazioni del grano hanno paradossalmente seguito una traiettoria opposta, con un significativo calo a partire dal 2022. Questa apparente contraddizione economica, che vede il prodotto finito aumentare di costo mentre la sua materia prima principale diminuisce di valore, sta creando non poche perplessità tra i consumatori, già sotto pressione per gli aumenti generalizzati del costo della vita. Secondo l’osservatorio prezzi del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, a marzo 2025 il prezzo medio del pane fresco a Roma è salito a 3,4 euro al chilogrammo rispetto ai 2,58 euro del marzo 2021, un dato che conferma questa tendenza preoccupante ma che nasconde realtà ben più variegate nel panorama nazionale.La geografia dei prezzi: dal Nord al Sud, divari e aumentiIl prezzo del pane in Italia disegna una mappa economica con differenze talvolta sorprendenti tra le diverse aree geografiche. L’analisi condotta da Altroconsumo in nove città italiane ha rivelato una situazione fortemente diversificata che rispecchia le dinamiche socio-economiche del paese. Milano si conferma la città dove il pane di grano tenero costa mediamente di più, con un prezzo che supera i 5 euro al chilogrammo (precisamente 5,18 euro), mentre Napoli rappresenta l’estremo opposto, con un costo medio di soli 3,05 euro. Questa forbice di oltre 2 euro tra le due metropoli evidenzia come il mercato del pane risponda a logiche locali molto diverse, influenzate dai costi di gestione delle attività commerciali, dagli affitti dei locali e dal costo della manodopera. Gli aumenti, inoltre, hanno colpito in modo disomogeneo le varie città, con picchi significativi del 10% a Firenze e Torino rispetto all’anno precedente, mentre altre località come Bari e Napoli hanno mostrato una maggiore stabilità dei prezzi nello stesso periodo.Anche la tipologia di punto vendita incide notevolmente sul prezzo finale: secondo i dati raccolti, acquistare il pane in panetteria comporta in media un esborso superiore del 37% rispetto al medesimo prodotto acquistato al supermercato, una differenza che riflette i diversi processi produttivi e di commercializzazione. Le analisi a lungo termine mostrano inoltre come il fenomeno dell’aumento dei prezzi del pane non sia recente, ma rappresenti piuttosto una tendenza consolidata degli ultimi dieci anni, durante i quali si è registrato un incremento complessivo del 57%, con punte ancora più elevate in alcune città come Firenze (+82%), Napoli (+79%), Bari (+64%) e Padova (+63%).Il paradosso del grano: prezzi in caduta libera dopo i picchi del 2022Parallelo all’aumento del costo del pane corre il fenomeno opposto relativo alla sua materia prima principale: il grano. Dopo aver raggiunto livelli record nel 2022, quando l’invasione russa dell’Ucraina aveva sconvolto i mercati internazionali delle commodities agricole, le quotazioni del frumento hanno intrapreso una discesa progressiva e consistente. I dati più recenti mostrano come i prezzi del frumento duro nazionale siano in ribasso su tutte le principali piazze di scambio italiane: a Milano il “fino” Nord vale ora 332 euro per tonnellata, mentre il “fino” Centro quota 344 euro per tonnellata, con cali rispettivamente di 3 euro. Analoga situazione a Foggia, con il “fino” sceso a 332,50 euro per tonnellata, con una diminuzione di 5 euro. Un dato ancora più emblematico emerge dal confronto decennale: il 29 aprile 2015 il grano duro “fino” veniva quotato 305-310 euro alla tonnellata, mentre il 30 aprile 2025 il valore di scambio riconosciuto è di 310-315 euro, praticamente lo stesso livello di dieci anni fa nonostante l’inflazione accumulata in questo periodo.I future del grano sono scesi a livelli che non si vedevano da fine giugno 2020, influenzati dalle abbondanti scorte statunitensi e globali, dalla debole domanda di esportazione e dalle condizioni meteorologiche favorevoli. L’ultimo rapporto del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti prevede che la produzione e il consumo globale di grano aumenteranno entrambi dell’1% nella stagione 2025/26, con scorte finali stimate a 265,7 milioni di tonnellate, leggermente in aumento rispetto all’anno precedente. Questa situazione di abbondanza dell’offerta e di stabilità della domanda continua a esercitare una pressione al ribasso sui prezzi del frumento a livello globale.I fattori che spiegano il paradosso economicoComprendere perché il prezzo del pane continui a salire nonostante il calo delle quotazioni della sua materia prima principale richiede un’analisi più approfondita dei fattori che incidono sulla formazione del costo finale di questo alimento fondamentale. La verità è che il grano rappresenta solo una componente del prezzo finale, mentre altri elementi hanno un peso crescente nella catena del valore. I costi energetici, che hanno subito impennate significative negli ultimi anni, incidono in modo determinante non solo sulla trasformazione del grano in farina, ma anche sulla successiva lavorazione e soprattutto sulla cottura nei forni, fase particolarmente energivora del processo produttivo. Secondo le stime degli operatori del settore, la produzione di pane è diventata più costosa del 30% proprio a causa dell’aumento delle bollette energetiche e dei carburanti per il trasporto.Altrettanto rilevante è l’aumento del costo del lavoro, con la manodopera qualificata che rappresenta una voce di spesa significativa per i panificatori, soprattutto per quelli artigianali che puntano sulla qualità e sulla lavorazione tradizionale. Roberto Capello, presidente regionale e nazionale dei panificatori, sottolinea come la situazione sia diventata particolarmente preoccupante negli ultimi anni, con l’aggravante crescita dei prezzi delle materie prime a cui si è sommata la speculazione derivante dalle tensioni geopolitiche e l’aumento delle spese per l’energia. La logistica rappresenta un altro fattore determinante: il trasporto delle materie prime, la distribuzione capillare del prodotto finito, la necessità di consegne quotidiane per garantire la freschezza del pane comportano costi in continuo aumento che si riflettono inevitabilmente sul prezzo finale.L’inflazione generale ha poi aggravato ulteriormente la situazione: a marzo 2025, secondo le stime preliminari dell’ISTAT, l’indice nazionale dei prezzi al consumo ha registrato un aumento del 2% su base annua, con i beni alimentari in particolare crescita (+2,4%). Questo contesto inflazionistico ha un impatto diretto sul settore della panificazione, che vede aumentare i costi di tutti gli input produttivi, dal packaging alle utenze, dai servizi alle imposte. Il fenomeno della crescita dei prezzi del pane si inserisce quindi in un quadro economico complesso, caratterizzato da molteplici pressioni al rialzo sui costi che finiscono per essere trasferite, almeno in parte, sui consumatori finali.Il divario crescente tra grano e pane: un problema di filieraUn aspetto particolarmente critico della situazione attuale è rappresentato dal crescente divario tra il prezzo della materia prima agricola e quello del prodotto finito. Secondo le analisi di Coldiretti, il prezzo del pane può arrivare a costare fino a 13 volte quello del grano da cui è ottenuto, un moltiplicatore che negli anni si è notevolmente ampliato. Questo fenomeno evidenzia una problematica strutturale nella filiera della panificazione italiana, dove i guadagni non sono equamente distribuiti tra tutti gli attori coinvolti, con gli agricoltori che spesso ricevono una frazione sempre più ridotta del valore finale. Angelo Miano, presidente di CIA Agricoltori Italiani per la provincia di Foggia, denuncia come il contrasto tra i prezzi sempre più bassi del grano italiano e i costi di produzione sempre più alti stia portando al collasso la cerealicoltura nazionale, minacciata anche dall’incremento delle importazioni da Paesi extra Ue, come la Turchia.Il tema del giusto prezzo del pane diventa quindi centrale nel dibattito economico e sociale. Secondo alcuni panificatori di qualità, per sostenere un’azienda con dipendenti adeguatamente retribuiti, fornitori pagati correttamente e attenzione alla sostenibilità ambientale, il prezzo del pane dovrebbe attestarsi attualmente tra i 7 e gli 8 euro al chilogrammo, con prospettive di arrivare fino a 10 euro nei prossimi anni. Questa visione si scontra tuttavia con la percezione diffusa del pane come prodotto di prima necessità il cui prezzo dovrebbe rimanere accessibile a tutti, creando una tensione tra esigenze economiche e sociali difficile da risolvere.L’impatto sui consumatori e sui consumiL’aumento del prezzo del pane ha conseguenze dirette sulle abitudini di consumo degli italiani. Con un consumo quotidiano medio stimato intorno agli 80 grammi pro capite e un prezzo che oscilla mediamente sui 4,20 euro al chilogrammo (con punte molto più elevate nelle grandi città del Nord), la spesa annuale per una famiglia di quattro persone può facilmente superare i 500 euro solo per questo alimento base. L’incremento dei prezzi, unito alle difficoltà economiche di molte famiglie, ha portato a una progressiva riduzione dei consumi di pane fresco a favore di prodotti sostitutivi che si conservano più a lungo, come cracker o grissini, un fenomeno che si è accentuato durante i periodi di lockdown legati alla pandemia. La diversificazione dell’offerta, con pani speciali, integrali o di grani antichi venduti a prezzi premium, rappresenta una strategia adottata da molti panificatori per compensare la diminuzione dei volumi con l’aumento dei margini unitari, contribuendo alla segmentazione del mercato e alla polarizzazione tra prodotti economici e prodotti di alta gamma.In questo scenario complesso, caratterizzato da tensioni sui prezzi, trasformazioni dei consumi e sfide strutturali lungo tutta la filiera, appare evidente come il pane, alimento simbolo della tradizione mediterranea e della cultura alimentare italiana, si trovi oggi al centro di dinamiche economiche e sociali che ne stanno ridisegnando il ruolo e il valore. La sfida per il futuro sarà quella di trovare un equilibrio sostenibile che garantisca la giusta remunerazione a tutti gli attori della filiera, dalla terra alla tavola, preservando al contempo l’accessibilità di questo alimento fondamentale per tutte le fasce della popolazione.